La crescita economica, dopo il Covid, è stata dell’1,8 per cento, tutto sommato accettabile in considerazione della congiuntura economica sfavorevole, anche se ben lontana dalla media nazionale del 5 per cento. Ma la stima di crescita della Basilicata, per il 2023, è la più bassa (insieme a quella delle Marche) di tutte le altre regioni italiane. In pratica, secondo i calcoli della Cgia, non andrà oltre lo 0,3 per cento, a fronte di una media italiana dello 0,7%. Davvero poco, soprattutto dopo quanto accaduto nel nostro Paese dopo la crisi pandemica e che faceva sperare in ben altro.
L’ufficio studi dell’Associazione degli artigiani e delle piccole imprese spiega infatti che «nonostante il rallentamento dell’economia registrato in questi ultimi sei mesi a seguito di una congiuntura internazionale molto difficile, l’Italia ha superato meglio dei suoi principali competitor europei gli effetti negativi provocati dalla crisi pandemica, dal caro energia e dalla crescita esponenziale registrata dai tassi di interesse in questo ultimo anno e mezzo. In altre parole, tra il 2019 (anno pre-Covid) e il 2023, l’Italia ha segnato una variazione del Pil del più 3 per cento, contro il +2,3 della Spagna, il +1,8 della Francia e il +0,7 della Germania. Il turismo, la manifattura, i consumi delle famiglie, gli investimenti e l’export – aggiunge la Cgia – hanno sostenuto questa ripresa che è stata la più “brillante” tra i principali Paesi dell’Eurozona. Un trend positivo che nello scorso mese di ottobre ha spinto il tasso di occupazione a toccare il 61,8 per cento. Grazie a ciò, in Italia si contano quasi 23,7 milioni di addetti, un record mai raggiunto in precedenza.
Ma, evidenzia la Cgia, «certo i problemi non mancano e le difficoltà che da decenni assillano il nostro Paese sono sempre all’ordine del giorno. Povertà, disoccupazione femminile, lavoro nero, tasse, burocrazia, evasione, inefficienza della Pubblica amministrazione e debito pubblico sono i principali punti di debolezza che frenano da almeno 20 anni la crescita del nostro Paese. Malgrado ciò, possiamo affermare con orgoglio che da qualche anno non siamo più l’ultima ruota del carro europeo».
L’Associazione di artigiani e piccolo imprenditori rimarca che «nonostante le chiusure delle attività, i divieti alla mobilità e la contrazione dei consumi provocata dal Covid nel biennio 2020-2021; l’aumento dei costi delle bollette di luce e gas esploso nell’estate del 2022 e l’impennata dei tassi di interesse determinato dalla Banca Centrale Europea per raffreddare il tasso di inflazione che in Italia nell’ultimo trimestre dell’anno scorso ha sfiorato il 12 per cento; le misure economiche/sociali messe in campo dagli ultimi esecutivi per mitigare queste difficoltà hanno sortito l’effetto sperato. Ovvero, hanno evitato una crisi sociale e garantito una ripresadell’economia che nessuno prevedeva. O quasi».
La Cgia ricorda poi che tra contributi a fondo perduto, ristori, indennizzi, misure di sostegno al reddito, crediti di imposta, etc., tra il 2020 e il 2022 i governi Conte 2 e Draghi hanno messo a disposizione delle famiglie e delle imprese ben 180 miliardi di euro. Per mitigare il caro bollette, invece, i governi Draghi e Meloni hanno erogato altri 90 miliardi di euro di aiuti.
Complessivamente, quindi, sono stati stanziati oltre 270 miliardi che hanno “anestetizzato” gli effetti negativi provocati dalla pandemia e dal caro energia. Certo, non sempre questi soldi sono stati spesi bene e/o sono finiti nelle tasche di chi ne aveva più bisogno. L’incremento della spesa, inoltre, ha contribuito ad aumentare decisamente il nostro debito pubblico che rimane tra i più alti al mondo. Tuttavia, sono risorse erogate per non far collassare l’economia del Paese e il risultato, in massima parte, è stato raggiunto.
Tra i 20 paesi dell’Area dell’euro – prosegue la Cgia -, quelli demograficamente più piccoli hanno registrato le crescite più elevate. Rispetto al periodo pre-Covid, infatti, l’Irlanda è cresciuta del 33,1 percento, Malta del 14,4, Cipro del 14,2, la Croazia del 13,4, la Lituania dell’8,3 e la Slovenia del 7,7. Per contro, i paesi più importanti hanno registrato delle variazioni nettamente inferiori. Se l’Italia ha fatto segnare un +3 per cento, la Spagna un +2,3, la Francia un +1,8 e la Germania un modestissimo +0,7. La media europea è stata del +3,5 per cento.
Nel 2023, invece, la previsione di crescita del nostro Paese dovrebbe essere del +0,7 per cento, un dato nettamente inferiore al +2,4 stimato alla Spagna e leggermente più contenuto rispetto al +1 in capo alla Francia. La Germania, invece, con una variazione del -0,3 per cento rispetto al 2022 rimane in recessione.
Stando ai dati della Cgia, a livello territoriale, la regione che meglio delle altre ha superato le crisi che si sono abbattute nel Paese in questi ultimi 4 anni è stata la Lombardia che, rispetto al 2019, è cresciuta del 5,3 per cento. Seguono l’Emilia Romagna con il +4,9 per cento, la Puglia con il +3,9, il Friuli Venezia Giulia con il +3,5, il Trentino Alto Adige con il +3,4 e il Veneto con il +3,3. Mentre la Basilicata ha fatto segnare il più 1,8 per cento. Tra le 20 regioni presenti in Italia solo la Liguria e la Toscana non hanno ancora recuperato il terreno perso con il Covid e le crisi successive.
Ma a trainare l’economia del Paese nel 2023 – conclude la Cgia – saranno Lombardia e Veneto. In queste due regioni il Pil è destinato a crescere dello 0,9 per cento rispetto al 2022. Seguono ad una incollatura Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Lazio tutte con il +0,8 per cento. Subito dopo l’Emilia Romagna, la Valle d’Aosta, il Piemonte e la Toscana che sono previsti in crescita del +0,7 per cento. In coda alla graduatoria si collocano, invece, la Basilicata e le Marche che registreranno un aumento del prodotto interno lordo rispetto all’anno scorso del +0,3 per cento.
Fonte: Il Quotidiano del Sud