L’auto elettrica non piace ai Lucani. Basilicata ultima in Italia per l’acquisto

I lucani comprano auto elettriche meno di tutti gli altri italiani. Dai dati di gennaio 2023 la percentuale di auto elettrificate sul totale delle nuove in Basilicata è del 24,3%, con il 2022 che si è chiuso con un marcato calo di immatricolazioni da noi superiore di almeno 5 punti percentuali alla media nazionale (meno 9,5%). Anche tra le due province la scelta dell’auto non più alimentata a carburante o gas o metano è differenziata: nel Potentino rappresentano il 27,6% delle nuove autovetture e a Matera il 20,8%, mentre le province con una percentuale più alta, molto lontane dalle nostre, sono Sondrio (51,5%), Como (49%) e Trento (47,2%). Altro discorso sono le ibride, che a loro volta si suddividono in diverse tipologie. Da notare: con le regole che entreranno in vigore dal 2035 anche le ibride non potranno più essere vendute, saranno immatricolate solo auto con emissioni zero allo scarico.

Tra i fattori che determinano la scelta “tradizionale” degli automobilisti lucani al primo posto c’è il costo e subito dopo il numero ancora troppo limitato di colonnine per la ricarica concentrate per il 48% in quattro regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia). Da noi è attivo meno del 20% dei punti ricarica necessari. Dunque l’auto elettrica pura resta una seconda o terza vettura, che può utilizzare chi ha a disposizione un garage per la ricarica. Ci sono inoltre i costi di manutenzione superiori del 40% a quelli delle auto normali. Solo per intervento dal carrozziere la riverniciatura può triplicare la spesa necessaria per un’auto a benzina, gasolio, gas o metano. E nelle autofficine mancano gli specializzati per interventi. Tra i più attenti osservatori delle dinamiche di mercato il sindacato guarda al presente e futuro dello stabilimento Stellantis di Melfi legato proprio ai nuovi modelli di auto per la transizione energetica. L’impatto delle vendite è diretto sui livelli occupazionali di tutto il comparto automotive di San Nicola di Melfi.

Lo scorso ottobre al Congresso della Uilm Nazionale è stata presentata una ricerca proprio su questo tema, commissionata a Està, Ente di ricerca non profit che si occupa di economia e sostenibilità. Il report ha evidenziato un dato importante: la transizione ecologica e digitale impatterà notevolmente sul settore dell’automotive mettendo a rischio fino a 120mila posti di lavoro, in particolare parliamo di lavoratori in aziende che producono componentistica per auto (Secondo Anfia circa 900). Se non ci sarà programmazione, se non ci sarà formazione, se non si metterà in atto una politica industriale in grado di accompagnare il cambiamento sarà un vero disastro sul piano sociale e occupazionale. «Il punto principale – sostiene il segretario regionale Uil Vincenzo Tortorelli – è che le auto elettriche costano molto di più di quelle diesel o benzina. Servirebbero incentivi più mirati abbinati a un ulteriore potenziamento delle infrastrutture. Ed è corretto finanziare il tutto con fondi pubblici perché la ricaduta finale è positiva per tutti i cittadini, in termini di minore inquinamento. I politici che continuano a discutere sullo stop dal 2035 delle auto diesel e benzina – aggiunge Tortorelli – ci sembrano cani che abbaiano alla luna. Continuare a discutere sulla legittimità di questa scelta non ha senso perché le grandi multinazionali hanno già fatto le loro scelte e piani. Bisognerebbe parlare di altro. Dobbiamo anzitutto rivendicare dall’Ue più fondi per la transizione. Ad oggi – dice il segretario della Uil – complessivamente ci sono 17 miliardi di cui solo 900 milioni destinati all’Italia per la riqualificazione professionale di lavoratrici e lavoratori e per gli interventi sugli ammortizzatori sociali. Nel nostro Paese, inoltre, mancano da anni scelte chiare di politica industriale. Dobbiamo capire come orientiamo le aziende verso questa trasformazione. La propaganda si può fare ogni giorno, ma poi servono risposte concrete».

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

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