“L’inchiesta Matteotti e i magistrati Mauro Del Giudice e Donato Faggella”: un testo che evoca un passato orwelliano di corsi e ricorsi storici

La ratio che giustifica la recensione al controverso “L’inchiesta Matteotti e i magistrati Mauro Del Giudice e Donato Faggella (CalicEditori, Rionero in V. 2022, euro 15,00)” risiede, in primis, nella necessità cogente di difendere il diritto di parola di ogni cittadino consapevole, nella ricerca della verità storica vera (si perdoni la tautologia), non mitopoietica o “ad usum Delphini”. Il piccolo volume di sole 142 pagine, con ricca appendice finale, che ci appropinquiamo a passare sotto la nostra lente critica è stato scritto durante la pandemia dal prof. Donato Ricigliano, ex docente di Materie letterarie nelle Scuole superiori, e si avvale della prefazione di Giovanni Fasanella, noto cronista parlamentare e giornalista d’inchiesta, anch’egli di San Fele (Pz), come Ricigliano e come lo era Donato Faggella, uno dei due magistrati di cui si occupa il libro. Il testo, quasi privo di refusi, è stato scritto in un registro linguistico di niveau alto e, noblesse oblige, fa molto uso di socioletti ed idioletti acconci, giustapposti a “pezze d’appoggio” a sostegno delle “tesi accusatorie” nei confronti del magistrato Donato Faggella, eternato in una targa commemorativa incastonata nella facciata di un edificio prospiciente Piazza Garibaldi, a San Fele. Qui il Ricigliano, alla fine del primo lock-down, casualmente incuriosito dalla data di posa dell’opera (1949), in cui l’insigne giurista sanfelese è definito: “ Magistrato di antica tempra romana la cui bellezza ebbe pari al genio e si dedicò con singolare ardore alle discipline giuridiche, ed avvocato magistrato professore accademico, impresse orme durature. Scrittore fino all’estrema età infaticabile, morì ancora additando agli uomini nuove vie del diritto (…)”, decide di vederci chiaro, non tanto su Gabriele, fratello di Donato Faggella ed altrettanto insigne giurista, cointestatario della targa sub iudice, ma sul primo nominato.

Il sospetto che la carriera dell’illustre concittadino, fino alla nomina di senatore, sia stata agevolata dal fatto di essersi molto adoperato nell’ostacolare le indagini sull’assassinio dell’on. Giacomo Matteotti (avvenuto il 10 giugno 1924 per opera di un commando della Ceka, la famigerata polizia fascista), trova step by step conferme autorevoli. E coinvolge, suo malgrado, Mauro Del Giudice (nomen omen), magistrato pugliese di Rodi Garganico, sottoposto di Donato Faggella e incaricato di cercare gli esecutori materiali e i mandanti dell’uccisione del deputato socialista, il quale, ” nella sua breve permanenza a Londra, aveva trovato prove di corruzione a carico del Duce, della sua famiglia e sulla famiglia regnante dei Savoia”(pag. 49). E, come sarebbe successo, decenni dopo, a Paolo Borsellino, “tali documenti scottanti giacevano nella sua cartella personale, che aveva con sé al momento del tragico sequestro, per poterli esibire in Parlamento, onde inchiodare Mussolini alle sue gravi responsabilità nel rapimento, tortura e uccisione del parlamentare rodigino, ritrovato cadavere il 16 agosto 1924”(pag. 49).

Il Ricigliano in questo testo fa molto uso di sofismi ed arcaismi, per dimostrare di essersi imbattuto in una notevole mole documentale sui numerosi atti di “bullismo” ante litteram del regime fascista, perpetrati in particolare durante il “ventennio” con l’ausilio delle famigerate squadracce che, in ossequio al crimen maiestatis, terrorizzavano i dissidenti antifascisti. Di grande importanza è la corrispondenza tra il Ricigliano e la prof.ssa Teresa Maria Rauzino (concittadina, studiosa e biografa del grande magistrato garganico), testimone “oculare” del travaglio interiore di Del Giudice nel portare avanti un’indagine di tale portata, sottoposto com’era a pressing politico ed istituzionale. Il lavoro del Ricigliano è senza dubbio encomiabile, per la determinazione nell’esaminare faldoni di documenti nascosti sotto una coltre di polvere, accumulatasi nel corso dei decenni di oblio, e negletti dalla storiografia ufficiale, un po’ per sottovalutazione e un po’ per snobismo. E’ grazie a questo lavoro certosino, che emergono aspetti poco noti del rapporto intercorso tra Mauro Del Giudice e “ il suo capo Donato Faggella, maestro e amico, suo riferimento morale e di dottrina. E sarà lui a tradirlo, inaspettato, novello giuda ”(pagg. 90-91)”.

<<L’indagine, che era stata già avviata da altri senza esiti significativi, imboccò subito la strada giusta e, nel giro di poco tempo, gli autori vennero individuati, arrestati e poi interrogati dal dr. Del Giudice e dal suo sostituto (…). L’instancabile lavoro dei magistrati Del Giudice e Tancredi consentì di scoprire varie responsabilità e coinvolgimenti in delitti minori (…) contro Giovanni Amendola (aggredito a Roma il 26 dicembre 1923) (…), Francesco Saverio Nitti (assalto e devastazione della sua casa a Roma Prati, nel novembre 1924)>> (pag.91). Notevole è il carteggio tra Del Giudice e Faggella. Questi, saputo della morte del fratello del sottoposto, gli consiglia di anteporre i doveri familiari a quelli istituzionali, ma Mauro Del Giudice, integerrimo, rinuncia alla cerimonia funebre del fratello, per non rischiare di vedersi scippare le sue indagini. In ultima analisi, il libro inchiesta di Donato Ricigliano, oltre ad arricchire il lessico mentale del lettore, sembra avere i requisiti per rappresentare una sorta di appendice ad uso degli amanti della Storia contemporanea, senza far storcere il naso agli storici ufficiali, ai quali l’autore, memore del famoso precetto “ubi maior, minor cessat”, non sembra volersi sostituire, ma umilmente affiancare. Ciò in quanto, come afferma Kesselgross: “La Storia, essendo un work in progress in open source, non si cristallizza mai ”; a cui fa eco Gentiloni, ripetendo che: “La Storia è di sua natura revisionista ”, sic! Basterà a smorzare la querelle, in quest’epoca avvezza alla tanto di moda damnatio memoriae tout court?

Prof. Domenico Calderone

6 comments

  1. Dottor Roberto Antonio Ferrieri

    L’articolo rimanda ad un periodo storico complesso e per molti aspetti nefasto e controverso, ma come accade ancora oggi si possono evincere giochi di potere e veicolazioni ambigue da parte di istituti quali organi di informazione, magistratura ecc ecc…. Questo mi ricollega ad un proverbio :
    Mondo era, mondo è ….. mondo sarà!
    Posso affermare, senza il timore d’esser smentito, che la verità “vera” difficilmente verrà a galla.
    Grazie Professore .
    Buone feste

  2. Dr.Giuseppe Giannini

    Storie di poteri e di corruzione.Quando il carrierismo è figlio di favoritismi se non di trame oscure.Peccato che la storia si ripete e, in questo specifico caso, si tratta di qualcosa di più grosso, riguardante non solo la tenuta democratica e l’equilibrio istituzionale, ma le vicende di un regime che ha segnato con i suoi crimini ed abusi il secolo scorso.Chiunque rappresenta lo Stato ( operatori ed esecutori della giustizia, rappresentanti politici) e la cosa pubblica (forze dell’ordine e della sicurezza civile, personale medico, impiegati della p.a., organi della comunicazione) deve farlo per scelta, per dedizione.E’ una missione che li chiama non solo a riscuotere privilegi ed onori, ma soprattutto l’onere della responsabilità verso la collettività.Invece le collusioni e il malaffare sono una costante della povera Italia. Anzi forse siamo peggiorati.Riguardo alla Magistratura, fermo restando che il giudice è sottoposto alla legge, il che vuol dire che debba applicarla anche se non ne condivide lo spirito, spesso gli attacchi che riceve hanno lo scopo non di migliorarne le storture od eventuali abusi, per i quali esiste già un organo di autogoverno (il C.S.M.) e un regime sanzionatorio-disciplinare, ma sono spinti da ragioni di opportunismo politico. Infatti, quando il terzo potere indaga sul politico, già dotato di prerogative ed immunità, ecco che si alza il coro unanime dei finti garantisti appartenenti alla casta.Non si è mai visto, tranne quelle parti politiche che da sempre si interessano di carceri e si muovono per una depenalizzazione di alcuni reati, la stessa solidarietà garantista verso i comuni cittadini.Questi invece si trovano in alcuni casi sottoposti ad un regime burocratico e persecutorio in perfetto stile kafkiano.Potrebbero essere molteplici gli esempi da menzionare per evidenziare la politicizzazione di certa magistratura, a partire dagli anni “caldi” della contestazione all’attuale criminalizzazione del dissenso. A volte, un eccesso di personalismo li ha fatti andare oltre (pensiamo al reset operato da Tangentopoli), altre i magistrati si sono visti sottrarre fascicoli scottanti, come nei reati sulla trattativa Stato-Mafia, o ancora pensiamo alle inchieste di De Magistris o Woodcock. Invece, nel caso abilmente trattato dal professor Calderone ci troviamo di fronte a persone di dubbia moralità, vili e prive di coscienza.Credere nello Stato vuol dire sollecitarlo (ed aiutarlo) nell’esercizio delle sue funzioni.Quando esso si dimostra qualcosa di diverso, lontano da tutte le implicazioni riguardanti le esistenze dei governati, ecco che la disaffezione e il populismo si rafforzano.Tuttavia, questo è un discorso più complesso che richiama il concetto di rappresentanza ed insieme i valori, gli ideali, e per i quali resistere ad atti legali ma ingiusti dovrebbe essere un diritto di tutti.

  3. Danila Marchi

    Fa sempre piacere sapere che c’è qualcuno che non si arrende. Qualcuno che animato da un profondo senso etico, non si stanca di porsi domande e di ricercare la verità. Quella verità che spesso si annida tra le poltrone del potere, non sempre giustamente conquistate. A volte accade però, che la verità, anche se postuma, arrivi a rinfrancare le coscienze di chi resta, di chi, a lungo ha cercato nel dubbio le risposte a tante verità insabbiate.
    Ringrazio chi, con tanta fede, abnegazione e solerzia ricerca e non smette mai di indagare. Ringrazio chi scrive, pubblica e dà voce alle affermazioni attraverso fatti scoperti. Anche se tardi è un bene che la giustizia giunga a rinfrancare lo spirito. Un ringraziamento va inoltre al Professore Domenico Calderone per le sue acute riflessioni al riguardo-

  4. Prof.ssa Maria Muccia

    Grazie Domenico per invitarci, continuamente, a tenere attivo il nostro senso di riflessione, qualsiasi la tematica. Le targhe commemorative che continuamente vediamo incastonate sulle mura o le tante vie che portano i nomi di personaggi “illustri” o monumenti e tante altre opere non sempre sono da considerarsi adeguate o rappresentanti di ciò che si vuol far credere. Potrebbe essere vero che alcuni siano stati davvero “grandi”, ma per “quelle” opere realizzate e ritenute degne di memoria; non bisogna mai dimenticare che la stessa persona abbia potuto compiere altri atti non sempre della stessa portata, se non addirittura nocivi. Basti pensare all’ultima affissa a Potenza e di cui si é già anche tanto discusso. Tutti, nel corso della propria carriera, compiono o realizzano, quasi sempre, atti di notevole portata e con schiettezza; poi, quando cominciano ad essere maturi e sicuri di sé, se non sono fortemente calibrati razionalmente, incominciano a vedere il mondo con l’ottica della conquista e della dominazione, cominciando a considerare i suoi simili come oggetti da utilizzare per il proprio “ego” e non pensano ad essi come persone da trascinare dietro nella scala del progresso per migliorare l’intera società. Anche Mussolini ha iniziato alla grande. Per me è stato colui che, soprattutto nel Meridione d’Italia, ha realizzato le più grandi opere e riforme; ma poi…………….? La storia la conosciamo tutti. E di storie simili ne potrei elencare tantissime, anche odierne, considerando le proprie esperienze; mi limito a descrivere solo una – spesso i ragazzi a scuola mi chiedevano: prof. è vero che la vostra generazione era diversa da noi a scuola? Io, con il sorriso sotto i baffi, come si suol dire, chiedevo chi avesse detto quelle cose e, senza aspettare risposta, continuavo dicendo che chi facesse certi discorsi, era sicuramente colui o colei che a scuola avesse avuto delle difficoltà o si comportava peggio di voi, e, adesso per riscattare le sue insicurezze, vorrebbe far credere una diversità che non è mai esistita. I ragazzi sono ragazzi, qualsiasi il tempo della loro crescita; anzi, aggiungo che i ragazzi (sempre per esperienza) sono catalogati per annata di nascita, unica differenza. Il prof. di una volta era considerato un “grande” nei confronti dell’alunno e in ambito sociale solo perché era con un po’ di conoscenze diverse in più rispetto a tanta ignoranza, perché la maggior parte delle persone, non andando a scuola, non sapeva leggere e scrivere, solo per questo, ma nessuno mai sottolineava la sua ignoranza in altri ambiti lavorativi. i ragazzi iniziavano tutti a lavorare, già da piccoli, e, nessuno ha mai fatto passare il messaggio che avere “conoscenze” non significa avere “coscienza” o avere il Valore della “cultura”, perché la “vera cultura” sta proprio nelle conoscenze nel campo “Agricoltura”, in primis, e in altri mestieri con l’aggiunta di saper scrivere e leggere, il resto è tutto accessorio, e chi ha orecchie intenda. Come il delitto Matteotti ce ne sono tanti di insicura verità, bisogna lavorare per una crescita sociale ferrata di “valori” positivi, perché la verità potrebbe essere certa solo in una società di sani principi, altrimenti, di sicuro, come un mio vecchio amico diceva, c’è solo la morte.

  5. Marco Cianca

    Il centenario dell’ assassinio di Giacomo Matteotti quest’ anno cade il giorno dopo le elezioni europee. Giorgia Meloni, forte di un risultato elettorale che i sondaggi prevedono esaltante, come commemorerà il martire antifascista? Quel delitto segnò una svolta: dopo il fallimento dell’ Aventino, Mussolini rivendicò ogni responsabilità morale e politica di quanto era avvenuto, sciolse i partiti e diede il via alla dittatura che per venti anni ha martoriato l’Italia.
    La presidente del consiglio dirà finalmente una parola chiara su quel che avvenne? Lo speriamo ma ne dubitiamo.
    Ma in ogni caso finché nitide figure come il professore Domenico Calderone terranno viva la memoria collettiva, possiamo dire che Matteotti non morì invano

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