Donne Lucane più brave ma senza soldi e lavoro

Il rapporto Ires-Cgil Basilicata evidenzia che le donne lucane sono più brave: hanno un’istruzione superiore alla media nazionale ma sono fortemente penalizzate nell’accesso all’occupazione e guadagnano molto meno degli uomini

Studiano di più e hanno un livello di istruzione (laurea e diploma) superiore a quello della media nazionale. E raggiungono un livello di formazione superiore a quello degli uomini, sia a livello locale che a livello nazionale. Ma quando si tratta di accedere al mercato del lavoro – per una serie di ragioni -, la strada si fa tutta in salita. È la fotografia principale che emerge dal rapporto Ires-Cgil Basilicata 2023 sulle “Diseguaglianze di genere” nella regione, che si basa su molti dati dell’Istat.

DONNE LUCANE PIÙ BRAVE NELL’ISTRUZIONE

La condizione femminile in Basilicata – spiega il rapporto -, pur essendo connotata da notevoli difficoltà e ritardi rispetto al Centro Nord è, se analizzata in confronto con il Mezzogiorno, caratterizzata da alcune peculiarità. A differenza di altre regioni meridionali, la diseguaglianza di genere non si crea già dalla fase formativa. In termini di partecipazione all’istruzione ed alla formazione permanente, dai bassi livelli di abbandono scolastico, di quota di donne con titoli di studio alti, la Basilicata non è affatto in ritardo. Rispetto alla percentuale di donne laureate, la Basilicata ha persino dati migliori della media italiana. L’elevata partecipazione scolastica, anche oltre la scuola dell’obbligo formativo, si riflette in elevati livelli di istruzione.

Le giovani lucane di età compresa fra i 30 e i 34 anni che possiedono un titolo di studio terziario (laurea o post laurea), infatti, sono il 35,6%, ben al di sopra del dato del Mezzogiorno e dell’Italia. In tale senso, rispetto alle altre regioni del Sud, la Basilicata è un esempio virtuoso. Anche lo scarto con i laureati uomini, a favore delle donne, è molto più ampio che nel resto del Paese. Anche le donne, che siano occupate o non occupate, che partecipano ad attività formative, risultano, in percentuale, superiori al dato italiano (il che è un indicatore di una certa attenzione da parte del Fse regionale nel garantire l’accesso delle donne alla formazione).

LE DIFFICOLTÀ NELL’ACCESSO AL LAVORO

Ma questo potenziale culturale – rileva lo studio Ires-Cgil Basilicata -, tuttavia, si perde nel momento in cui, finita la fase formativa, le donne lucane si avventurano nel mercato del lavoro. In questo caso, le difficoltà di accesso ad una occupazione si traducono in una altissima percentuale di scoraggiamento: il tasso di attività delle donne lucane è di 12 punti inferiore a quello medio nazionale, con un gap negativo rispetto al tasso di attività maschile di ben 26 punti. Quasi una donna inattiva su cinque, un dato molto rilevante se confrontato con le medie meridionale e nazionale, è scoraggiata: in altri termini, potrebbe e addirittura vorrebbe lavorare, se le condizioni percepite del mercato del lavoro fossero migliori.

L’ampio bacino di inattività è legato al fatto che le donne che invece entrano nel mercato del lavoro, finiscono in quote molto rilevanti nel limbo della disoccupazione, soprattutto le donne giovani alla ricerca del primo impiego, in uscita da un percorso educativo spesso brillante.

I LIVELLI DI DISOCCUPAZIONE FEMMINILE

Il tasso di disoccupazione giovanile femminile, in Basilicata, è del 36,3%, lo scarto con quello dei giovani maschi regionali è di oltre 16 punti, quasi 5 volte il corrispondente scarto a livello nazionale. Si può addirittura dire che la figura “tipica” del disoccupato lucano è rappresentata da una giovane donna, con titolo di studio medio-alto, alla ricerca del primo impiego. Tale figura spesso, in poco tempo, si scoraggia, cadendo nell’inattività (o emigrando).

In tale situazione, i motivi sono diversi, dal persistere di una resistenza culturale all’assunzione di donne, spesso di alto livello educativo, da parte di piccole imprese familiari e padronali a discendenza maschile nel sistema di governance aziendale, alla isteresi del mercato del lavoro, evidentemente a causa di politiche attive del lavoro non particolarmente efficaci, che generano, peraltro, un tasso di disoccupazione di lungo periodo (ricerca di lavoro che supera i 12 mesi) superiore a quello nazionale.

LO SFRUTTAMENTO

Quali che siano i motivi, il risultato pratico di tale blocco nell’accesso al lavoro è costituito da un “tasso di sfruttamento” più alto a carico delle lavoratrici – aggiunge il rapporto Ires-Cgil -. Le assunzioni con contratti precari, infatti, sono di gran lunga più frequenti per le donne che per gli uomini. Solo l’11,8% delle assunzioni femminili in Basilicata avviene con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 15,9% maschile.

I contratti precari, oltre a produrre effetti negativi sulla vita, sono mediamente meno bene pagati. Anche perché l’occupazione femminile alle dipendenze in Basilicata si concentra soprattutto (in termini relativi) in settori, come i servizi alla persona a basso valore aggiunto, il turismo e ristorazione, l’agricoltura, che mediamente pagano stipendi più bassi rispetto, ad esempio, all’occupazione manifatturiera, e soprattutto a quella nei settori hi-tech, sia essa industriale o terziaria, dove la percentuale di donne lucane occupate è appena del 2,3%.

DONNE LUCANE PIÙ BRAVE MA GLI STIPENDI…

Ciò fa sì che gli stipendi medi delle donne lucane che riescono a superare il grande ostacolo dell’accesso al lavoro siano di 4.300-4.400 euro annui lordi inferiori agli stipendi medi dei maschi, con una analoga differenza che si riscontra anche nel valore medio delle pensioni. Ciò fa sì che, se il rischio di caduta in povertà relativa è relativamente omogeneo fra uomini e donne, grazie al fatto che tante donne a basso reddito sono sostenute economicamente dai mariti, la caduta nelle forme più gravi di povertà assoluta è soprattutto a carico delle donne. La percentuale di donne lucane in condizioni di grave deprivazione materiale è del 10,3%, più di un punto percentuale superiore al dato maschile. Tale percentuale nasconde situazioni di solitudine, dove cioè non vi è sostegno familiare: anziane vedove del marito, donne single con figli a carico. In misura crescente donne immigrate.

I SERVIZI NEGATI

A tale situazione concorre anche una carenza di servizi – rimarca lo studio sulle diseguaglianze di genere -. Solo il 7,3% dei minori lucani viene preso in carico dai servizi per l’infanzia, peraltro concentrati solo sulle tipologie più tradizionali (nidi e micro-nidi, sezioni primavera) mentre i nidi aziendali (per l’assenza di un welfare aziendale) o i servizi domiciliari, che pure potrebbero creare occupazione a disposizione anche di donne con livelli di formazione non specialistici, specie nelle aree interne, sono pressoché inesistenti.

Evidentemente, la carenza di servizi di conciliazione, con una situazione mediamente peggiore anche rispetto ad altre regioni meridionali (in particolare Puglia, Sardegna o Abruzzo e Molise) dipende da politiche sociali inadeguate ed incide sulla povertà, sui bassi redditi e sulla precarietà lavorativa delle donne, privandole di servizi che consentirebbero loro di dedicare più tempo alla loro professione.

Fonte: Il Quotidiano del Sud

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