Sarà un ventennio che puntualmente ogni anno in periodo di raccolta pomodoro leggo titoloni sui giornali e servizi giornalistici nei vari tg regionali circa il lavoro nero e lo sfruttamento da parte degli imprenditori agricoli con la complicità di caporali extra comunitari e non, nei confronti degli operai (per il 90% africani) addetti alla raccolta del prodotto. Quanto al parametro economico, il dovere di cronaca gioca ovviamente al ribasso, per dare enfasi alla notizia e conquistare la sensibilità dell’opinione pubblica. A tal proposito è un ventennio che attendo, ahimè inutilmente, che la curiosità di qualcuno, tra gli addetti ai lavori e non, possa sollecitare un dibattito che vada oltre la notizia, oltre la demagogia, oltre il pregiudizio, fino a sollevare e scoprire “l’altra faccia della medaglia”. In assenza di un qualsiasi segnale in tal senso, ormai stanco, ma non ancora rassegnato, mi faccio avanti, in punta di piedi, puntando l’indice verso l’alto, per chiedere la parola e dare una lettura della notizia da un’altra prospettiva, dando voce alla maggioranza degl’imprenditori, quelli Onesti e Corretti nel loro lavoro, ma soprattutto verso il prossimo, alle ragioni di chi da sempre è ignorato o, peggio ancora, additato, giudicato e zittito. E se provassimo a guardare oltre i titoli dei giornali? Magari scopriremmo che a volte la realtà è un po’ diversa! In realtà, all’inizio degli anni ottanta, privi di alcuna meccanizzazione, la raccolta del pomodoro veniva eseguita da braccianti Italiani che venivano reclutati nell’interland del Vulture Alto Bradano, successivamente anche nelle regioni limitrofe, i quali venivano retribuiti con paga giornaliera secondo accordi sindacali. Successivamente con il venir meno della mano d’opera Italiana, si sono mostrati particolarmente interessati braccianti di nazionalità Africana, i quali fin dall’inizio non hanno mai accettato il nostro modo di pagare i braccianti locali, e quindi ci Proposero assunzione … al solo scopo di assicurasi sul lavoro, ma pagati a cottimo, scegliendo come unità di misura il bins in plastica di circa 300 kg di pomodoro, (se completamente pieno) con prezzo a variare della produttività dei campi, il tutto in disaccordo con le modalità da noi proposte sul come e quanto, nonché con quello che prevedeva la contrattazione collettiva nazionale a tutela dei lavoratori, al semplice scopo di incrementare gli introiti, a volte anche con metodi truffaldini (bins contenenti cumuli di terra, e quant’altro per aumentarne il volume, a discapito della qualità). Più che una richiesta, si è trattato di una volontà inderogabile, a cui gli imprenditori, di fronte alla carenza di manodopera e ad un prodotto ad alta deperibilità, non hanno potuto dire di no, accettando, persino ritorsioni in corso d’opera soprattutto in caso di condizioni climatiche sfavorevoli, che di fatto aumentano il potere contrattuale di chi decide le sorti del raccolto, infischiandosene del rapporto umano creatosi, del prodotto deperibile e dei costi che ogni impresa sostiene per l’avvio a lavoro (pratiche di assunzione,visite mediche, consegna di indumenti da lavoro anorme). Dispiaciuto di contraddire un convincimento ormai diffuso, ma la vera notizia è che il lavoratore extracomunitario non è affatto interessato alla paga giornaliera a norma di legge, perché una tale condizione gli assegnerebbe non solo diritti, ma anche vincoli ed obblighi, troppo stringenti rispetto al suo modus operandi, diretto ad un suo unico obiettivo: accumulare risorse economiche da trasferire alla famiglia di origine; al contrario, la paga giornaliera gli garantirebbe solo l’autosussistenza in Italia. Al di là di quelli che si stanno sedimentando come luoghi comuni, esiste una realtà complessa, che non è solo quella che i mass media vogliono rappresentare, una realtà che invito a conoscere direttamente “sul campo”, al di là di ogni pregiudizio. Rappresentanti istituzionali, giornalisti, opinionisti, invito tutti a indossare le vesti dell’imprenditore agricolo, magari cercando nuovi spunti per fare notizia, più aderenti alla realtà, potrebbe accadere che il contributo di ognuno aiuti a tracciare un nuovo percorso di legalità e di rispetto delle reciproche posizioni, che individui, in nuovi strumenti di gestione del rapporto di lavoro, un’opportunità di crescita che un approccio improntato esclusivamente alle logiche di controllo, o peggio ancora di inquisizione, non può garantire.
Pasquale Carretta
Lavello (PZ)