Tumori, sono 20.787 i lucani che vivono dopo una diagnosi per tutti i tipi di tumore

help-lineSono 20.787 i lucani che vivono dopo una diagnosi di tumore per tutti i tipi di tumori. E’ quanto emerge dallo studio ‘I tumori in Italia-Rapporto Airtum 2014: prevalenza e guarigione da tumore in Italia’, realizzato dall’Airtum (Associazione italiana registro tumori) Working Group. Un Rapporto – sottolinea Sanità Futura – utile a comprendere una serie di aspetti delle condizioni di vita di quanti anche nella nostra regione sono affetti da patologia tumorale, recente o passata, e che registra una progressiva crescita (il dato nazionale registra un incremento del 20%). Una persona su quattro – è per Sanità Futura l’indicazione sicuramente più importante – può però considerarsi già guarita, cioè può nutrire la stessa aspettativa di chi non ha mai avuto una diagnosi di tumore. In dettaglio, secondo i dati riferiti alla Basilicata, il fenomeno interessa soprattutto gli anziani: oltre il 20% dei maschi ultra75enni e il 13% delle femmine di questa fascia di età ha affrontato nella vita l’esperienza del cancro. Tra le tipologie, i casi più diffusi sono quelli di tumore alla mammella: 4.436 le lucane interessate, pari all’incirca al 40% di tutte le donne con neoplasia. A seguire i tumori al colon retto (2.686 i lucani, 12%), vescica (2.404), prostata (1.917), tiroide (1.199), testa-collo (1.000), utero (879). Complessivamente lo studio rileva che il 60% dei pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore ha avuto la diagnosi da oltre 5 anni. Il tempo di guarigione varia per ogni tipo di tumore ed è influenzato dall’età al momento della diagnosi e dal sesso del soggetto colpito.  I pazienti con tumore del testicolo e della tiroide guariscono mediamente in meno di 5 anni; i pazienti con i tumori di stomaco, colon retto, pancreas, corpo e cervice uterina, cervello e linfoma di Hodgkin guariscono in meno di 10 anni. Le pazienti con tumore della mammella e i pazienti con tumore della prostata invece raggiungono una mortalità simile a quella della popolazione generale dopo circa 20 anni dalla diagnosi. Per i pazienti con tumore di fegato, laringe, linfomi non-Hodgkin e mielomi, il rischio di morire a causa del tumore si mantiene anche oltre 25 anni dalla diagnosi. E per consentire alle persone che vivono con patologie tumorali di condurre una vita “più serena” e una volta guarite, di tornare alla vita normale, un appello viene dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo): “E’ necessario stabilire fermamente il diritto alla riabilitazione, tenuto conto che il Rapporto “certifica” la possibilità di superare lo stigma secondo cui il cancro equivale a morte. Lavorare per i malati Cancer-child-640x427-Credit-iStockphotodi cancro significa sostenere una battaglia sociale ineludibile costruire un argine a spese aggiuntive a danno del Ssn”. Un’esperienza viene dai servizi help-line a cura dell’AIMAC  (Associazione Italiana Malati di Cancro) costituita dal servizio Help-line: 36 punti di accoglienza e di informazione presso i maggiori centri di studio e cura dei tumori italiani (tra cui l’Irccs-Crob di Rionero) nei quali, oltre alla distribuzione gratuita del materiale informativo, per facilitare il contatto con i malati oncologici e i loro familiari, prestano servizio per 30 ore a settimana volontari del servizio civile afferenti ad AIMaC.  E’ soprattutto – spiega la psicologa  lucana Valentina Giglio che svolge l’attività presso la sede centrale AIMac di Roma – un supporto psicologico per il malato e anche i familiari. Il servizio di helpline (lun/ven 9.00-19.00) – continua la psicologa – vede impegnati volontari di servizio civile, appositamente formati e coadiuvati da un oncologo clinico, uno psicoterapeuta e un avvocato, rispondono ai quesiti riguardanti la malattia, i trattamenti e i loro effetti collaterali, l’accesso ai benefici previsti dalle leggi in campo lavorativo, previdenziale e assistenziale. L’equipe interdisciplinare offre alle persone malate, ai loro familiari o amici  l’opportunità di essere ascoltati e di esprimere eventuali bisogni di sostegno e/o di assistenza, nel qual caso si indica loro il personale specializzato e le strutture cui rivolgersi. Questo lavoro di accoglienza globale della persona e di analisi della domanda secondo un paradigma bio-psico-sociale prevede un lavoro d’equipe da parte delle varie figure occupate presso l’help-line. Purtroppo, il Ssn trascura sia la fase di riabilitazione post-trattamento acuto sia quella che segue alla remissione totale. La mancanza di supporto socio-economico-assistenziale – afferma la psicologa Giglio – carica di oneri le famiglie, costrette a provvedere a proprie spese alle forme di assistenza omesse dal Ssn nella fase post-acuzie. Questa situazione non rimane confinata nell’ambito familiare, ma si riverbera sulla finanza pubblica, generando oneri sotto forma di assegni d’invalidità e pensioni evitabili. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *