Crolla l’export in Basilicata, consumi ridotti all’essenziale

Perso il 17,2%, 9 volte il dato italiano. Invece si è registrata una crescita in tutto il Sud

La Basilicata è stata la regione d’Italia ad avere meno danni, sotto il profilo sanitario, dalla pandemia Coronavirus, ma stando ai primi dati che arrivano non può dirsi altrettanto per l’economia. Nel primo trimestre 2020 (che quindi abbraccia il lockdown solo marginalmente) c’è stato un autentico crollo dell’export con valori medi molto più alti di quelli che hanno interessato il resto del Paese. Dibattito aperto per capire se questo sia un effetto diretto della pandemia e se lo sia totalmente o parzialmente e quanto ci sia, invece, di condizioni preesistenti, il dato Istat è chiaro: la Basilicata ha perso il 17,2% del suo export rispetto all’anno precedente con un valore che è 9 volte quello medio dell’Italia, dove nello stesso periodo si è perso l’1,9% di export. E nei limitatissimi numeri della nostra regione, abbiamo un arretramento della nostra quota di esportazioni sul totale nazionale, passando dallo 0,8 del 2019 allo 0,7 di oggi.

A leggere ulteriormente i dati, quello relativo alla Basilicata preoccupa anche per un altro aspetto: l’andamento dell’export nel Paese sembra seguire la virulenza della Pandemia, colpendo più duramente Nord-ovest e Nord-Est (rispettivamente con cali del 2,2 e del 2,5 per cento), riducendo a un punto e mezzo la perdita nel Centro Italia e tornando in terreno positivo nel Sud e nelle isole per un 1,1%. E in questo scenario la negatività record (peggio di noi la sola Val d’Aosta con un calo del 21,4) della Basilicata spicca ancor di più. Una spiegazione, almeno parziale, viene dall’analisi dei diversi settori: il dato lucano è fortemente influenzato da un vistoso calo nell’export di prodotti petroliferi raffinati (-43,8%) e di autoveicoli (-32,2%), ma cali evidenti si registrano anche nei settori dei farmaci e prodotti chimico medicinali e botanici (-25,1%) e nelle attività manifatturiere).

A mitigare il calo, invece, non tanto l’aumento record delle esportazioni di articoli in pelle, che pur crescendo del 223,5% resta in un’area di non rilevabilità quanto a quota di export nazionale di settore, ma i più pesanti aumenti di prodotti alimentari e bevande che con una crescita del 56,3% raddoppiano il proprio peso nel paniere dell’export nazionale di settore, passando dall’1 al 2 per mille, e i prodotti di agricoltura, silvicoltura e pesca che fanno registrare un +9,6% sul 2019 e vedono il peso sulla quota nazionale salire dal 5 al 6 per mille. Bene anche i prodotti tessili che con un incremento del 9,4% sull’anno precedente vedono la quota sul totale nazionale passare dal 4 al 5 per mille. Ma, evidentemente, rispetto al peso di petrolio e auto non basta. E se è così le prospettive per il secondo semestre di quest’anno non lasciano spazi all’ottimismo.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno 

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