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La pandemia non ferma la poesia. Grande successo del 2° recital in praesentia a Ruvo del Monte

Nonostante il 2020 si stia rivelando sempre più come un anno manifestamente infausto, sotto tutti i punti di vista, a causa della terribile pandemia ( “pantumiё”, in dialetto lucano, ma con effetti molto più nefasti), i piccoli centri lucani, forse ancora memori di “Matera 2019”, nonostante tutto, non hanno spento il fuoco che alimenta le arti classiche per antonomasia: poesia, musica, pittura etc. Cosicché, il giorno 11 agosto, come da programma, dopo solo una settimana di prove serrate, al comando dell’attore-regista Gianni Dal Maso, veterano del palcoscenico, dopo la fortunata edizione 2019, è andata in scena la seconda edizione del “Teatro di Poesia”, che ha coinvolto ancora una volta “attori” non professionistici di varia estrazione socioculturale, decisi a fare bella figura. In buona sostanza, nella magnifica corte del castello antistante il maestoso Maschio Angioino di Ruvo del Monte, suggestiva location vocata ad ospitare importanti eventi culturali, si è dato voce a poeti locali, nazionali ed internazionali, recitando poesie celebri, accanto ad altre poco conosciute ma non meno pregnanti di significato. I primi versi sono stati quelli di poeti lucani: Leonardo Sinisgalli, Mario Trufelli, Angelo Calderone (in arte Engel von Bergeiche), Amelia Squillace, Vittoria Simone (letta da Lina Spedicato, subentrata in extremis alla “titolare” Andreina Telesca), Aurelio Pace, Piero Mira et al. Poi, attraversando il verismo, il simbolismo, l’ermetismo etc. è stata la volta dei grandi nomi italiani: Giacomo Leopardi, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, fino a giungere ai big internazionali come Jacques Prévert, Konstandinos Kavafis, Luis Borges, Pablo Neruda et al. Tra questi, grandi applausi hanno riscosso l’Infinito, di Giacomo Leopardi, dalla voce lirica di Piero Mira, e l’interpretazione da parte dello scrivente di “Osservando”, poesia anti-droga di Engel von Bergeiche ( ” Ho visto un campo di grano/macchiato di rosso,/ma non era il colore dei papaveri./Ho visto un selciato/d’un rosso essiccato,/ma non era il colore delle pietre./Ho visto un uccello con le piume/ dello stesso colore che macchiava/il grano e il selciato, ma non era colore./Tutto ciò era sangue/versato dalle ferite inferte/da chi per la vita non ha più amore”), seguita dalla toccante, difficile (in quanto ricca di enjambments) “In memoria”, di Giuseppe Ungaretti, oltre a “Questo amore”, composizione fono-simbolica del poeta surrealista Jacques Prevért, che, declamata a due voci al ritmo dell’accumulazione, in tandem con  Domenico Grieco, come già sperimentato nella prima rappresentazione del 2019, ha riemozionato i cuori inariditi dal Covid-19 del numeroso pubblico, in praesentia, ma in religioso silenzio e a distanza di sicurezza: “Questo amore/Così violento/Così fragile/Così tenero/Così disperato. /Questo amore bello come il giorno/E cattivo come il tempo/Quando il tempo è cattivo/Questo amore così vero/Questo amore così bello/Così felice/ Così gaio /E così beffardo/Tremante di paura come un bambino al buio (…)”. Poi, in chiusura, a sorpresa, è giunta una novità suggerita ad hoc all’articolista-declamatore dall’attuale clima di intolleranza ed odio pandemici verso il “diverso”, che, purtroppo, si respira un po’ ovunque. Si tratta della breve poesia “Prima vennero …” , del pastore luterano Martin Niemöller, di cui esistono diverse versioni ed attribuzioni, ma tutte ruotanti, comunque, intorno al focus tematico della discriminazione tout court. Eccone il significativo testo integrale in italiano: “Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano./ Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici./Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi./ Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. /Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Intelligenti pauca! Altro non c’è da dire, se non che le poesie sono state intervallate dalla magistrale reinterpretazione di alcuni pezzi celeberrimi, tra cui, il “Gabriel’s oboe”di E. Morricone; il “Preludio dalla IV Suite per liuto” di J.S. Bach; il brioso “Asturias (Leyenda)” di Isaac Albeniz e il drammatico “Concierto de Aranjuez” di Joaquin Rodrigo, eseguiti con grande trasporto emotivo da un autentico fuoriclasse della chitarra classica: il prof. Andrea Graziano, altra eccellenza lucana, di San Fele, mio ex alunno (ora, giovane docente al Liceo Musicale di Venosa e componente di importanti ensembles). La giovane allieva Angela Sacino, invece, dal canto suo, ha suonato col suo flauto traverso, tra l’altro, il non facile “Love Theme”, di Ennio Morricone, colonna sonora del film “Nuovo cinema Paradiso”. A suggellare una serata fantastica, infine, ci ha pensato il maestro Gianni Dal Maso, deus ex machina dell’evento, interpretando da par suo un famoso monologo dal “Prometeo incatenato” di Eschilo. Ai piedi della torre, invece, si è potuta apprezzare una mostra di quadri della collezione privata dell’avv. Aurelio Pace.

Prof. Domenico Calderone