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“La rieducazione del condannato”. Come recuperare giuridicamente l’autore di un reato? E’ possibile riabilitarlo socialmente? La recensione del libro del prof. Donato Santoro

Come recuperare giuridicamente l’autore di un reato? E’ possibile riabilitarlo socialmente?

Sono gli interrogativi a cui cerca di dare una risposta il prof. avv. Donato Santoro, nel libro, che in un certo senso, costituisce uno sviluppo, ed un ampliamento del tema affrontato nel suo “La rieducazione…” (Youcanprint – 2020) Qui il centro dell’attenzione è rivolto alla riabilitazione del reo. Arricchito da un’ottima introduzione e da una pregevole prefazione, questo lavoro, ci immerge, come fa di solito il Santoro, in un percorso storico volto ad evidenziare l’evoluzione della disciplina giuridica, con un sempre puntuale richiamo alle direttive della CEDU. Come si diceva, l’introduzione è curata dall’on. avv. Vincenzo M.Siniscachi, figura di spicco dell’avvocatura campana, ex componente del C.S.M., famoso per aver difeso personaggi importanti della politica, della cultura e dello sport (De Mita, Maradona, Califano etc.), per essersi occupato di cause importanti (Tangentopoli, omicidio Marta Russo), e per la sensibilità dimostrata intorno al tema della libertà di stampa. La prefazione è di Vittorio Paone, già educatore presso la Casa Circondariale di Cuneo, il quale tesse le lodi dell’avvocato Santoro, sottolineando come egli grazie all’impegno e alla dedizione abbia raggiunto traguardi notevoli. Santoro infatti, è riuscito attraverso i sacrifici e l’abnegazione – lavorava e studiava – a raggiungere risultati importanti, essendo stato tra i più giovani co-fondatori del sindacato penitenziario SAPPE, per poi raggiungere il vertice dell’OSAPP, tanto da ottenere l’apprezzamento di diversi magistrati, tra cui Silvio Pieri, già procuratore generale di Torino, e primo presidente aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, e Teresa Benvenuto, annoverata tra le più giovani che hanno ricoperto l’incarico di direttore generale degli affari penali del Ministero della Giustizia, nonché già vice capo dell’ufficio legislativo dello stesso dicastero dove ha lavorato lo stesso Santoro, i quali hanno messo in rilievo come per le sue qualità fosse sprecato per l’amministrazione penitenziaria, tanto da augurargli un futuro migliore, poi concretizzatosi nella professione forense e nella docenza, ma anche nei tanti convegni dedicati soprattutto all’esecuzione penale.La difesa dei più deboli e la battaglia contro le ingiustizie, dice Paone, sono una costante nel percorso di Santoro. Venendo alla trattazione, si parte dalla ratio dell’istituto della riabilitazione, che come  sottolineato anche dal Siniscalchi, è quello di dare vita ad ” un diritto alla rinascita, (…) non abbandonando il condannato(…), istituendo un rapporto tra il condannato e la società ferita”.

Gli artt. 178-181 c.p. disciplinano l’istituto. Il presupposto per la concessione del beneficio, previsto dall’art. 179 c.p. è l’esistenza di un titolo esecutivo, cioè di un provvedimento di condanna. Importanza assume la riforma del 2004, che ha ridotto da 5 a 3 anni il termine per proporre l’istanza dal giorno in cui è stata espiata la pena principale. Ed è la buona condotta, il requisito in grado di dimostrare il recupero del condannato e, in collegamento con l’art 27 Cost., 3 co., la sua rieducazione ai fini del reinserimento in società. Scontata la pena principale, si può richiedere l’accesso al
beneficio, che comporta l’estinzione delle pene accessorie e degli altri effetti penali (la cancellazione dal casellario giudiziale). Dopo aver evidenziato i profili processuali, vengono sottolineate le diverse forme di riabilitazione. Bisogna dire, che causa ostativa per la concessione del beneficio è la sottoposizione del condannato a misure di sicurezza. La seconda parte del libro si concentra sulla giustizia riparativa, propria dei paesi di common law. La novità di questa nuova concezione della pena è che si guarda non tanto all’autore del reato, ma al danno che il reato stesso cagiona alla persona offesa. E’ una terza via compatibile sia con l’aspetto retributivo della pena che con le vie della rieducazione. Dunque, diventa fondamentale la natura risarcitoria (e restitutoria) ai fini del soddisfacimento della vittima, dando luogo ad un rapporto di tipo contrattuale tra le parti.E, a tal fine, la riparazione, quale conditio sine qua non della successiva riabilitazione deve essere personale e non opera di terzi.

In Italia lo schema riparativo è ostacolato dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale,ma ha trovato un “compromesso”, grazie ad alcuni interventi normativi – la legge n.67 del 2014, e la legge n. 103 del 2017 – , che hanno introdotto modalità altre riconducibili allo schema riparativo. Infine, l’accento è posto sull’istituto dell’ affidamento in prova, misura alternativa alla detenzione, disciplinato dall’art. 4 della legge 26 luglio 1975 n.354 dell’ordinamento penitenziario. L’istanza presentata dall’interessato viene accolta dopo averne osservato la personalità e il comportamento. E’ una misura che, in qualche modo, ottempera alle indicazioni della CEDU in materia di sovraffollamento. Essa estingue la pena detentiva e gli effetti ad essa riconducibili. La differenza sostanziale rispetto alla riabilitazione è che l’esito positivo di un affidamento in prova non comporta la cancellazione della condanna dal casellario giudiziale. Ciò ha delle inevitabili ripercussioni sul reinserimento sociale e sulla ricerca lavorativa. Ed è per tale motivo che spesso si richiede la riabilitazione solo successivamente al positivo espletamento dell’affidamento in prova.

Giuseppe Giannini
cultore del diritto, analista politico