Melandro News

“La rieducazione del condannato”. Il nuovo libro dell’avv. Donato Santoro recensito dal dott. Giannini

E’ stato da poco pubblicato il nuovo libro del prof. avv. Donato Santoro, allievo dei due maestri della scienza penalistica l’on. avv. Alberto Simeone e il prof. avv. Ivan Russo,che, come si evince
dal titolo, tratta della condizione in cui si trova il condannato e della finalità di rieducazione della pena. La presentazione del libro è curata dal prof. avv. Claudio Faranda. Il libro è suddiviso in quattro capitoli. Il primo capitolo si occupa della umanizzazione della pena e della salvaguardia della dignità della persona. Viene qui tracciata tutta l’evoluzione del pensiero criminal-penalistico e delle relative dottrine, che hanno prodotto o influenzato l’elaborazione del codice penale e dei principi costituzionali, con richiamo alle carte internazionali dei diritti (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali…), che costituiscono i valori fondanti di una società democratica. Tali principi, in parte recepiti dalle carte costituzionali, vengono esplicitati per delineare il sistema delle restrizioni delle libertà del condannato. L’art. 27 co. 3 afferma che “le pene non possono essere contrarie al senso di umanità”.

Nel nostro ordinamento si è passati da un impianto fortemente repressivo sotto il regime fascista, e con il codice Rocco, improntati ad una visione del reo come nemico della società e, in quanto tale, destinatario di un sistema punitivo fatto di limitazioni di diritti, preclusioni e patimenti psicofisici, ad una visione di una società pacificata, con un sistema di reclusione finalmente rispettoso dei diritti del reo. Il secondo capitolo affronta la questione carceraria con la legge n.354 del 1975, ancora oggi punto di riferimento avanzato, in quanto garanzia primaria di quelle finalità di rieducazione e risocializzazione del condannato di cui all’art. 27 co.3 Cost. Elemento innovativo di questa legge è l’individualizzazione del trattamento penitenziario. Solo attraverso una osservazione scientifica, arricchita da elementi extragiuridici è possibile costituire un programma individuale e personalizzato di detenzione. Incoraggiando le attitudini e valorizzando le peculiarità della persona condannata, per mezzo di benefici e diritti-libertà prima precluse (flessibilità della pena, misure alterantive alla detenzione), si realizza un sistema di collaborazione con gli istituti penitenziari, in grado di far comprendere la portata del reato commesso e condurre al reinserimento sociale. Diversamente un sistema repressivo conduce facilmente alla recidiva.
Vengono poi menzionate le leggi successive (la legge Gozzini e la legge Simeone su tutte) e una teoria di pena dell’avvocato Donato Santoro.

Questa teoria della pena sul reinserimento sociale è stata particolarmente apprezzata, oltre che dal professore Faranda, anche dall’insigne professore Ferrando Mantovani, maestro per  antonomasia del diritto penale italiano. Il terzo capitolo definisce il trattamento penitenziario fino ai giorni nostri con particolare riguardo ai diritti del detenuto: diritti all’integrità fisica, alla salute mentale, ai rapporti familiari e sociali, all’integrità morale e culturale. Particolare spazio è dedicato al lavoro penitenziario, non più inteso in forma coatta,ma come forma primaria di risocializzazione, dentro e fuori le mura carcerarie. Infine, il quarto capitolo, dove si ribadisce la necessità di trovare delle alternative al sistema carcerario, anche per mezzo di un maggiore e più proficuo utilizzo delle misure alternative alla detenzione, come strumenti per garantire la rieducazione. Ciò che viene fuori da questo libro particolarmente “intenso” è che solo superando una ideologia carceraria fine a se stessa è possibile ripensare le pene,gli istituti di restrizione delle libertà e la società stessa. Per far ciò è necessario mettere in pratica le raccomandazioni internazionali e dar applicazione concreta a quanto di buono c’è nelle varie leggi che si sono succedute, attraverso un massiccio impiego di risorse e mezzi, riqualificando il personale e i luoghi, ma soprattutto v’è bisogno di uno sforzo intellettuale scevro da preconcetti e pregiudizi, in modo da pensare alla detenzione solo come extrema ratio.

dott. Giuseppe Giannini
Cultore del diritto, analista di questioni istituzionali attinenti alle dinamiche politiche e sociali