Eco-reati in Basilicata: dietro non c’è la mafia, ma le aziende

POTENZA – In Basilicata dietro ai reati contro l’ambiente non si cela il volto della criminalità organizzata ma quello, per certi versi più subdolo e inquietante, delle grandi imprese. Manager in doppio petto che attraverso i crimini ambientali perseguono l’obiettivo di un illecito arricchimento. Questo il quadro tracciato dal comandante del Noe di Basilicata, il maggiore Luigi Vaglio, nel corso della presentazione del rapporto sulle Ecomafie 2019 di Legambiente, che si è tenuta ieri pomeriggio a Potenza nella sede di Scambiologico.

«La Basilicata – ha spiegato il maggiore Vaglio – dal punto di vista ambientale è una regione ricca di risorse ma anche di criticità. A differenza delle regioni contermini, anche se non vi sono fenomeni di criminalità organizzata che investono sull’ambiente ci sono altre organizzazioni che hanno operato e che operano in danno del territorio. I delitti contro l’ambiente sono soprattutto delitti d’impresa, lo dicono le nostre indagini. Dalla famosa indagine sullo sversamento di petrolio in Val d’Agri, che è a dibattimento, all’attività sul ciclo dei rifiuti solidi urbani a Potenza, dove c’è già la sentenza di primo grado. Proprio nel settore dei rifiuti ci sono enormi interessi economici». Secondo quanto appurato dal Noe negli ultimi dieci anni di attività, in Basilicata i crimini contro l’ambiente «coinvolgono realtà imprenditoriali di primissimo piano a livello regionale, nazionale ed internazionale. I delitti ambientali, soprattutto i più gravi, sono crimini d’impresa, che comprendono un dolo specifico, che è la volontà di arricchirsi o lucrando direttamente o grazie ad un mancato esborso. Un esempio del primo caso è quello di un impianto che produceva compost, in territorio calabrese, ai confini con la Basilicata e che non rispettava le specifiche tanto che al suo interno vi erano lamette da barba, pile esauste ed altro ancora. Materiale che veniva sversato sui campi nella zona del Lagonegrese. La nostra esperienza ci dice che gli eco reati introdotti dalla legge 68 del 2015 hanno trovato applicazione in regione, soprattutto l’inquinamento ambientale e il disastro ambientale, quest’ultimo ad esempio nel caso della contaminazione delle falde a Viggiano causate dalla perdita di petrolio dell’impianto Eni. Abbiamo avuto anche qualche caso di reato di impedimenti al controllo ambientale, sotto forma di elusione o attestando situazioni non vere».

Ma quali sono le nuove frontiere degli illeciti ambientali in Basilicata, dove si stanno indirizzando le indagini del Noe? «Nel campo dei rifiuti – ha spiegato il maggiore Vaglio – è necessario attenzionare anche altri operatori economici che gestiscono rifiuti, come i cementifici, oppure i cosiddetti ripristini ambientali, come cave dismesse che vengono usate per tombare rifiuti sottratti alla filiera legale del ciclo, come accadde alcuni anni fa a Tursi e a Pisticci, con il tombamento nel Fosso della Lavandaia di fusti contenenti morchia di verniciatura provenienti dal Veneto. Ma ci sono anche delle deviazioni del sistema anche nel ciclo legale dei rifiuti come nel caso dei rifiuti solidi urbani della provincia di Potenza dove era stato operato un declassamento che consentiva lo smaltimento in alcune discariche che non erano autorizzate a smaltire quel tipo di rifiuti. C’è poi il settore delle energie alternative su cui ci stiamo concentrando fotovoltaico ed eolico. Anche in questo caso ci sono grosso interessi economici. La nostra attenzione è rivolta sia al fine vita dei materiali che vengono utilizzati sia ai flussi finanziari che interessano il settore».

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

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