Lei con problemi di depressione, lui di stupefacenti, si conoscono e decidono di vivere insieme per farsi forza. Le cose vanno bene, poi la situazione peggiora e decidono di farla finita insieme. Assumono una dose eccessiva di metadone e si mettono a letto ma al mattino successivo, quando dopo l’allarme della donna delle pulizie che non riesce ad aprire la porta, i familiari dell’uomo riescono ad entrare in casa e allertano 118 e carabinieri, lei è morta, lui è in coma e si salverà dopo un lungo ricovero in rianimazione all’ospedale San Carlo. È una storia triste quella che ha per scenario Potenza, siamo, nel 2014, una storia triste di vita che avrà però un prosieguo nelle aule di Giustizia. Perché il Gup Amerigo Palma, su richiesta del Pm Annagloria Piccininni, ha ora rinviato a giudizio l’uomo con l’accusa di istigazione o aiuto al suicidio e il processo, in cui rischia fino a 12 anni di carcere, inizierà il prossimo 25 settembre davanti alla Corte d’Assise. Lui, 56enne difeso dall’avvocato Clemente Delli Colli), a quanto emerso dalle varie testimonianze raccolte, a quella donna era sinceramente legato. E così lei a lui. La conoscenza casuale in un bar era stata quasi una luce nel buio per entrambi. Lei, 60 anni l’epoca dei fatti (oggi la madre è parte civile nel procedimento assistita dall’avvocato Paolo Sannino) veniva fuori da un matrimonio felice fin quando una malattia non le aveva portato via il marito. Ad aggravare la sua condizione il decesso del padre a cui era particolarmente legata. Dopo aver conosciuto lui,decidono di andare a vivere insieme nella casa che lei aveva in una contrada di Potenza. Ma la condizione di lei peggiora sempre così decidono di attuare l’insano proposito. Staccano il contatore della luce, lei assume una boccetta di metadone che lui le ha fornito (era in cura al sert) lui si inietta la sostanza in vena e si mettono a letto ad aspettare la morte. Il progetto, però, va a segno solo per lei. E lui si ritrova ora con l’accusa di aver «rafforzato i propositi suicidiari di Messina, accordandosi con la stessa per porre fine, insieme e contestualmente, alle loro esistenze e ne agevolava l’esecuzione consegnando alla stessa un flacone di metadone da 240 milligrammi che la stessa ingeriva completamente tanto da indurre un edema polmonare e conseguente arresto cardio circolatorio che ne determinava il decesso». Il reato è lo stesso per cui è imputato il radicale Marco Cappato in relazione alla morte di Dj Fabo e per il quale si attende che, il prossimo 23 ottobre, la Corte Costituzionale si esprima sulla legittimità della norma. Ma il Gip di Potenza non ha ritenuto di sospendere il procedimento in attesa del pronunciamento, come richiesto dalla difesa, probabilmente anche in virtù della differenza dei casi: per Dj Fabo si poteva parlare di eutanasia legata a una condizione di salute, per la donna potentina era solo mal di vivere. Lo stesso male di cui soffriva anche C.. E che ora sarà sottoposto alla giuria popolare di Potenza chiamata a ricostruire un caso umano per valutare una vicenda legale.
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno