E’ stato presentato a Picerno sabato sera -presso la sede dell’Unitre- il libro di Carmine Curcio, denominato “Scienza e Fede. Dove conduce la ragione”. Presenti oltre all’autore Don Gennaro Curcio (segretario dell’Istituto Maritain), il sindaco Giovanni Lettieri, il presidente dell’Unitre e la professoressa Erika Markantonio,autrice della recensione che riportiamo di seguito.
Il rapporto tra scienza e religione si rivela all’analisi dello storico “straordinariamente ricco e complesso” e lo stesso può dirsi se guardiamo al lato filosofico e più propriamente a quello che riguarda la filosofia della scienza. Ma la cosa che stupisce ancora di più è la passione che suscita ogni confronto pubblico che concerne quanto è correlato al tema del rapporto tra scienza e fede. Sul tappeto ci sono infatti le domande che riguardano il destino e la specificità dell’uomo o il senso della nostra stessa esistenza, i fondamenti dell’etica del vivente, la propria visione del mondo. Temi classici di un confronto che data indietro fino ai Padri della Chiesa sono ancora aperti alla discussione e accendono gli animi mettendo in luce un contrasto che non è solo nei “massimi sistemi”, ma tocca profondamente la sfera personale, il bisogno di speranza, il sentimento intimo di un credo religioso che va oltre l’aderenza a una specifica religione. Ci sono fonti di conoscenza più accreditate di altre? Il libro della Natura e il Libro Sacro, la Bibbia; sono in contraddizione? Che cos’è la Verità? La scienza è una forma privilegiata e speciale di conoscenza del mondo? La neurobiologia può ammettere l’anima? Ha senso parlare di vita dopo la morte? Un uomo che si dichiara a immagine di Dio può anche essere un parente prossimo di uno scimpanzé? Le leggi della fisica possono ammettere i miracoli? L’universo di Newton e di Einstein lascia spazio all’intervento divino? Si può essere buoni scienziati e credere in Dio? Temi che rimbalzano sulle pagine dei giornali a intervalli regolari assieme al tema pressante delle implicazioni morali della ricerca scientifica (responsabile o irresponsabile riguardo all’uso delle sue scoperte?) o all’influenza della religione nelle scelte sociali che implicano l’uso di quelle stesse scoperte (dalle cellule staminali alla clonazione, dalla fecondazione assistita fino ai metodi contraccettivi, dalla terapia del dolore all’eutanasia). Questi temi e altri di eguale peso teoretico sono oggetto del libro di Carmine Curcio: Scienza e fede. Dove conduce la ragione. Il libro è strutturato in due parti. La prima affronta temi quali il rapporto tra fede, ragione e scienza, l’ipotesi della della creazione dell’universo in contrapposizione a quella della sua genesi spontanea, la compatibilità tra fede ed evoluzione. La seconda parte del libro ha per oggetto la figura di Galilei. Pur partendo da una formazione laica, Curcio considera fede e scienza, definiti «due aspetti dell’esperienza umana compatibili tra loro», e per ribadirlo iconicamente, come ci racconta nella prefazione, un paio di anni fa ha fatto realizzare una porta in bronzo per la Chiesa Madre del suo paese d’origine, Picerno, dedicandola, per l’ appunto, al tema “scienza e fede”. All’autore del bassorilievo, lo scultore Paolo Cataldi, ha chiesto di raffigurare la fede con immagini tratte dalla resurrezione di Cristo e la scienza con immagini di Galileo Galilei. Perchè proprio Galilei? Perchè è con Galilei che nasce una scienza modernamente intesa. E il contrasto tra la scienza e la Chiesa diventa tragico, come i due processi a cui è stato sottoposto lo scienziato e la tardiva riabilitazione della Chiesa dimostrano. E’ necessario capire il contesto storico nel quale si pone la questione. Siamo nel XVII secolo. La controriforma aveva stabilito che la Chiesa dovesse avere il monopolio nelle interpretazioni delle dottrine: ogni dottrina, e la rispettiva interpretazione, dovevano essere conformi alle Sacre Scritture. Tuttavia, tale decreto, applicato alla scienza moderna, e alle nuove scoperte fatte con stumenti come il cannocchiale, farà sorgere dei problemi: il credente dovrà accettare solo il messaggio religioso e morale della Bibbia, oppure ogni affermazione scritturale? Alcuni, ad esempio il cardinale Bellarmino, sostenevano che la Bibbia fosse vera in tutte le sue affermazioni poiché era stata scritta sotto ispirazione dello spirito santo; Galileo, invece, sosteneva che il messaggio letterale della Bibbia fosse vero solo in campo religioso. Secondo il suo pensiero, infatti, una posizione come quella di Bellarmino, non avrebbe fatto altro che ostacolare il progresso della scienza e danneggiare la religione stessa: questa, infatti,rimanendo legata a tesi dichiarate false dal progresso scientifico, sarebbe sicuramente apparsa ridicola. A questo proposito Galileo affronta il
problema dei rapporti tra scienza e fede, e giunge ad alcune conclusioni. La scienza e la fede derivano entrambe da Dio: la Bibbia è la dettatura dello Spirito Santo, la natura è l’esecuzione degli ordini di Dio. In quanto tali esse non possono essere in contrapposizione tra loro; qualsiasi contrasto tra verità scientifica e religiosa è soloapparente, e può essere risolto rivedendo l’interpretazione della Bibbia. Inoltre, per Galileo le Sacre Scritture sono scritte nel linguaggio del popolo, mentre la natura e le sue leggi, non piegandosi alle esigenze umane, sono scritte nel linguaggio matematico; la Bibbia non ha nulla a che fare con i principi che riguardano la natura, il suo obbiettivoè solamente il destino dell’uomo (salvezza dell’anima, ascesa al Paradiso, ecc…). In conclusione la Bibbia è arbitra nel campo etico-religoso, la scienza è arbitra nel campo delle leggi naturali; è l’interpretazione della Bibbia che deve sottostare alla scienza. L’errore dei teologi, quindi, è stato quello di pretendere che la Bibbia facesse testo anche alle conoscenze naturali.Con il passare del tempo la posizione di Galielo verrà accetata anche dalla Chiesa. Galileo Galilei scrisse: “La scienza studia come è fatto il cielo, la religione come andare in cielo”. Pertendo da qui, dalla conciliazione tra scienza e fede nel riconoscimento di una reciproca autonomia, l’approccio di Curcio alla materia è quello di un realista credente: attraverso la mediazione di Galilei, percorrendo un sentiero personalissimo, nel quale la fede è da intendere non come dono, ma come ricerca e come scelta, Curcio “decide di credere“: lo scopo che si propone è dimostrare la “ragionevolezza della fede e la sua compatibilità con la scienza”. In queste affermazioni di Curcio mi sembra scorgere un’eco di Blaise Pascal: la fede, il cristianesimo, è così aderente alla ragione da essere in grado di chiarire ciò che essa non chiarisce. La fede, secondo Pascal, non è una fuga gratuita nell’irrazionale, poichè consiste nel credere in qualcosa che, pur essendo meta-razionale, cioè superiore alla ragione, risulta pur sempre l’unico modo per spiegare ciò che la ragione, con le sue sole forze, non spiega. La riflessione di Curcio ha piena cittadinanza nella cultura contemporanea. Non è utile sprofondare in una sterile polemica tra le opposte e inconciliabili posizioni dell’ateismo e della fede. Il mio compito, quello che spero essere riuscita a illustrare è comprendere come la necessità di una ricerca della fede, o secondo una visione kantiana della metafisica, sia una inclinazione naturale. Rispetto alla prima metà del Novecento quando il neopositivismo aveva favorito l’allontanamento del pensiero scientifico da ogni tematica che sapesse anche lontanamente di metafisica, la cultura contemporanea registra, se non un cambiamento radicale, certamente un costante sconfinamento della scienza nei territori della filosofia e della religione e viceversa. Numerosi sono gli scienziati che hanno apertamente preso posizione sul tema uscendo dall’ambito della propria disciplina per rivendicare alla scienza una “visione del mondo” oltre a un metodo per la conoscenza del mondo (basti pensare a Edoardo Boncinelli, Margherita Hack, Piergiorgio Odifreddi, Antonio Zichicchi in Italia, a Stephen Jay Gould, Richard Dawkins, Edward O. Wilson e molti altri oltre confine). Come ha ben puntualizzato il teologo Tanzella-Nitti: «Domande filosofiche di certo rilievo (sull’origine e sul destino dell’universo, sulla natura e sul senso della vita, sul ruolo dell’uomo nel cosmo, ecc.) paiono suscitare oggi maggiormente l’interesse degli scienziati».